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‘Un Modo Per Dire Ti Voglio Bene’

David Hudnall 15 Gennaio 2018
Un padre di New York si unisce ai Lions per aiutare la figlia videolesa
Photo by Cindy Schultz
Saratoga, New York
USA

It’s difficult for parents to admit there’s something going wrong with their child. I think it took not only me to come to terms with everything, but also for my parents to accept that.

Il Lions Club Saratoga Springs è uno dei più solidi club dello stato di New York con 110 soci e un lungo elenco di progetti; uno dei soci più recenti e più attivi è un signore di 56 anni, ex giocatore di football per il college, con un accento del New Jersey chiamato Tony Catalano. Viene originariamente dalla parte settentrionale dello stato ma è ritornato in quella zona alcuni anni fa, dopo aver vissuto per anni nell’area di New York City dove lavorava nel settore delle vendite editoriali a Manhattan vivendo con la famiglia nei sobborghi del New Jersey.

“Toni è una forza, un vero leader”, afferma il Governatore Distrettuale John McDonald, un Lion di Saratoga Springs. “È piacevole, simpatico ed è già incredibilmente impegnato nel club. Credo che arriverà lontano, sicuramente”.

Ma non era molto tempo fa che Catalano, un ex duro difensore per l’Holy Cross College, non sapeva molto dei Lions club. Nel New Jersey, ogni tanto vedeva un cartello Lions fuori da uno studio medico o una brochure relativa a una raccolta di occhiali. Ma non ci aveva mai fatto molta attenzione. Ripensandoci è strano, dati i problemi alla vista che affliggono la famiglia Catalano. I genitori di Catalano avevano entrambi avuto la rimozione della cataratta. Lo stesso Catalano porta gli occhiali dalla prima elementare e, quando aveva poco più di trent’anni, ha subito il trapianto di cornea a causa del cheratocono, una malattia progressiva dell’occhio che provoca l’assottigliamento della cornea.

Anche Martel, la figlia di Catalano, ha ereditato occhi non buoni. A 13 anni ha iniziato a notare che non riusciva a vedere bene al buio. Dopo alcune visite mediche è stato stabilito che Martel soffriva di retinite pigmentosa, nota come RP. Questa rara malattia genetica provoca la graduale diminuzione dei bastoncelli negli occhi. Inizia con la cecità notturna. Con il tempo, si riduce il campo visivo periferico. Spesso le persone diventano legalmente cieche, anche se possono passare anni o anche decenni prima di arrivare a quella situazione.

Martel ha ora 28 anni e la RP è progressivamente peggiorata. Lei e la sua famiglia hanno fatto i conti con questa condizione in modi diversi. È stato difficile. Per molto tempo Catalano, una persona altrimenti socievole e chiacchierona, ha cercato di evitare di parlare di cosa significasse la RP per il futuro di Martel.
“Durante la sua adolescenza abbiamo tutti cercato entro certi limiti di ignorare la situazione” afferma Catalano.

“È un duro con il cuore tenero” dice Martel del padre. “E aveva eretto una sorta di barriera riguardo la mia condizione. Semplicemente non ne voleva parlare”.
La barriera ha iniziato a sgretolarsi un po’ nel 2016, nel momento in cui Catalano è passato davanti ad una tenda Lions durante un evento ‘corri e cammina’ a Saratoga. Ha iniziato a chiacchierare con il Lion allo stand e ha visto il collegamento tra la loro missione e la situazione critica di sua figlia. Più precisamente, ha visto un percorso con il quale poteva iniziare a assorbire ciò che stava accadendo a Martel.

“Quello mi ha davvero aiutato a dare forma alla situazione”, dice Catalano.

Paura e tristezza

Così come può sembrare contraddittorio che una persona così loquace come Catalano eviti di parlare delle difficoltà di sua figlia, allo stesso modo è difficile immaginare Martel come una ragazza disorientata. Oggi è una istruttrice di yoga e una life coach che vive a Saratoga Springs in centro. È una persona piena di empatia, considerazione, è facile parlarle e apprezza gli amici, la famiglia e la natura. È equilibrata, come dicono nello yoga.

Ma Martel ha penato per anni emotivamente a causa degli effetti fisici dell’RP. C’erano tristezza e paura della malattia, ovviamente, ma anche altri problemi, come disordini alimentari e cattive relazioni. Ripensandoci, si rende conto che è tutto collegato.

“Ho rotto cose che avrei potuto aggiustare, così non dovevo pensare alla cosa che non potevo sistemare - diventare cieca”, afferma. “Ho trascorso dieci anni in una estenuante maratona di depressione, ansia, disturbi fisici e psicologici. Indubbiamente si alimentavano l’uno dell’altro. Quando uno peggiorava, la stessa cosa succedeva al resto, in un circolo vizioso di stress mente-corpo. Mi sono accecata da sola per la paura di diventare cieca”.

Poi c’erano i problemi più chiaramente logistici legati alla graduale perdita della vista ad una così tenera età . Dopo la laurea presso il college Skidmore a Saratoga Springs si è trasferita prima a Burlington, in Vermont, poi è tornata a New York City, dove ha lavorato per un’organizzazione non a scopo di lucro nel settore del marketing. Il pendolarismo nella città ha iniziato a creare diversi ostacoli per Martel man mano che diminuiva il suo campo visivo periferico. Mentre camminava in città le è capitato di calpestare cani o travolgere un bambino piccolo, con conseguenti momenti di imbarazzo e lesioni.

“Ogni giorno, finito il lavoro, tornavo a casa in subbuglio, dopo essere stata in un luogo così pieno di costanti tensioni” dice Martel. “Tornavo a casa e dicevo ai miei genitori “Odio il mio lavoro, odio il mio lavoro, odio la città”. Ma non capivamo i motivi. Era perché la mia RP stava peggiorando. Ma capirlo è stato un processo molto lento e graduale”.

Ad aiutare in quel processo c’era la madre, Corinne, una psicologa che ha lavorato con bambini autistici e le loro famiglie. “Mia madre agevolava queste conversazioni (molte serate e cene), in cui credo che tutti insieme abbiamo iniziato ad accettare quello che stava succedendo”, dice Martel. “Ma mio padre non aveva alcuna esperienza nel campo del benessere familiare o in psicologia. È difficile per i genitori ammettere che ci sia qualcosa che non va nel proprio figlio. Credo che sia stato difficile fare i conti con la realtà non solo per me, ma anche per i miei genitori”.

Lo yoga ha aiutato a gestire lo stress. E altrettanto ha fatto il tornare a Saratoga Springs, dove vivono ora Tony e Corinne, e dove esistevano meno variabili quotidiane. Martel ora vive con il ragazzo su Main Street a Saratoga Springs. Può andare a piedi in tutti i posti che le servono: in palestra, al ristorante, a fare la spesa, allo studio di yoga dove fa l’istruttrice, alla sala da tè dove lavora alcuni giorni a settimana. Ancora vede abbastanza bene da poter andare a volte in bicicletta. Quando deve andare lontano, l’accompagna il ragazzo o la vengono a prendere i genitori.

Martel sta anche creando con un’amica una comunità online non a scopo di lucro chiamata Beyond My Battle (oltre la mia battaglia), che offrirà sostegno emotivo, risorse e istruzione a persone che vivono con malattie incurabili.

“Le persone affette da RP normalmente non diventano totalmente cieche. Mantengono qualche grado di campo visivo nell’area centrale, ma spesso diventano legalmente cieche” dice. “Molte persone hanno un cane guida o bastoni bianchi, e io prevedo che un giorno succederà anche a me. Ma fino ad ora mi sento fortunata. Ho quasi 30 anni, e il mio dottore ora pensa che le cose andranno lentamente per me. Per adesso è gestibile. Ma la situazione peggiorerà e mi aspetto tutto questo.”

Un nuovo ruolo

A quell’evento ‘corri e cammina’ nel 2016, a Catalano era stato suggerito di contattare McDonald per ottenere ulteriori informazioni sui Lions di Saratoga. Lo ha fatto subito. I due hanno legato immediatamente: si sono resi conto che lo zio di McDonald era stato l’allenatore di pallacanestro di Catalano al liceo. Catalano ha partecipato come ospite a tre riunioni ed è subito entrato nel club.

Catalano ci si è buttato a capofitto. Ora è nel consiglio d'amministrazione ed è il cerimoniere Lions ufficiale che saluta i partecipanti alle riunioni settimanali. Tra gli eventi verso cui è gravitato ci sono il Duathlon Lions annuale del Giorno della Memoria, una gara di corsa-bici che attira sia atleti locali che alcuni più famosi, e Camp Abilities, un campo settimanale per bambini con problemi di vista che si svolge al college Skidmore.

“Trovo che traggo molto spiritualmente dal Camp Abilities: speranza e pazienza”, dice Catalano. “Lì lavoro con persone che vedono meno di Martel. Lavorare con altri che si trovano sulla strada della cecità, in qualche modo mi ha reso più facile parlarne. Mi sono sempre sentito colpevole per il fatto che la sua malattia è ereditaria. Viene dalla mia famiglia. Il senso di colpa è qualcosa che devo affrontare, immagino. Ma il mio coinvolgimento [con i Lions] mi sta aiutando a gestirlo”.

Nessuno è rimasto più sorpreso di Martel dall’entusiasmo di Catalano per il Lions Club Saratoga.

“Non è mai stato un tipo di persona dedito al volontariato, e se lo è stato, era sempre come allenatore sportivo perché è, beh, un atleta”, ride Martel. “Il football è praticamente l’unica attività extrascolastica che ha mai fatto quando ero piccola”.

Come Catalano, non sapeva molto all’inizio dei Lions e del loro impegno per la vista.

“Pensavo che fare volontariato fosse una buona cosa, perché è una cosa che apprezzo personalmente” lei dice. “Poi ha iniziato a passare più tempo con il club, e finalmente mi sono chiesta ‘Perché così improvvisamente sei così impegnato con questo club?’ E allora mi ha più o meno detto che il loro interesse era incentrato sulla cecità. E questo mi ha davvero commosso. È stato bello sentirlo”.

Il club ha anche ampliato le vedute di Catalano al di là del suo iniziale interesse ad aiutare le persone con problemi alla vista. Parla con entusiasmo dei suoi programmi da volontario in attività Lions legate alla perdita dell'udito e al diabete. È diventato un Lion al 100%, si è completamente convertito.

“Fino ad ora, mi sembra che il club mi abbia aiutato più di quanto io non abbia aiutato il club, ma spero che ciò cambi nel tempo”, dice Catalano. “E penso che [Martel] sappia che faccio questo a causa sua. Per me è un modo di dirle ‘Ti voglio bene’ senza pronunciare quelle parole, anche se dico spesso anche quelle.”

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